Ci sono momenti in cui ti viene voglia di partire.
Momenti in cui non puoi proprio rimanere dove sei, e senti dentro di te che hai bisogno di vedere qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso.
Questo è essere un viaggiatore.
Londra, settembre 2014
Ma un viaggiatore é anche una persona resa flessibile dall’esperienza, che ha bisogno costantemente di un pizzico di follia dalla vita.
Il 12 settembre 2014 é stato uno di quei giorni in cui non riuscivo a rimanere dov’ero.
La sera prima ero sdraiata sul mio divano, a scrivere non so più cosa, fino a tardi come sempre, perché é la notte che ispira il pensiero creativo, o forse é solo il silenzio dell’oscurità a partorirlo.
Ero nell’ansia dell’attesa. Nell’ansia lo sono sempre, lo sarò sempre, ma allora, attendevo di sapere il giorno della mia discussione di laurea, attendevo un cenno dal professore, ormai da più di venti giorni. Aspettavo con la serenità che avrei ricevuto il giusto preavviso per preparare con calma un discorso completo e preciso, per ripeterlo ad alta voce in francese per giorni, scegliendo con cura le parole da usare.
Invece, all’una e mezza del 12 settembre, prima di andare a dormire, ho controllato per l’ultima volta la mia posta elettronica ed ho trovato il laconico messaggio: “buonasera Elisa, volevo solo ricordarle che lei discuterà la tesi domani mattina alle ore 9h00”.
La segreteria aveva evidentemente dimenticato di avvisarmi.
Cosa si fa in queste situazioni? Si prepara il discorso, si ripete innumerevoli volte fino all’alba, poi ci si fa una lunga doccia calda, si indossa il tailleur e si va all’Università. Non proprio come me lo ero immaginato, ripetendo Rem tene verba sequentur come un mantra, come quando ero al liceo.
E che succede quando esci dopo aver discusso la tesi e aver accumulato una dose impensabile di stress? Cammini. Sono uscita dall’Università al settimo cielo e, ho iniziato a camminare. Senza meta. Ero a Parigi. Ci vivo a Parigi. Ma a volte me lo dimentico, e ho bisogno di immergermi tra i suoi palazzi, nei dedali delle vie di Montmartre, di scivolare tra i boulevard e di sentirla vivere e scorrere sotto ai miei piedi, intorno a me.
Ho camminato per tre ore e mezza, senza ritrovarmi. Poi mi sono buttata sulla prima metro, sono tornata a casa, ho mangiato e sono andata in ufficio. E mentre ero in ufficio ho iniziato a pensare. A pensare che una delle mie migliori amiche era a Londra per uno stage di tre mesi da tre giorni, e che sarei voluta andare a trovarla, ma aspettavo la mia discussione per prenotare. Poi ho pensato che un’altra delle mie più care amiche stava andando da lei, lunedi. Poi ho contato i week end da li ai tre mesi successivi e mi sono resa conto che, tra persone che venivano a trovare me, persone che venivano a trovare lei e viaggi già organizzati, non avremmo avuto modo di vederci.
Ho controllato i treni: troppo costosi.
Ho controllato gli aerei: troppo costosi.
E ho prenotato un bus per la sera stessa.
Ho preso un giorno di ferie per il lunedì, sono tornata a casa, ho buttato in valigia un paio di jeans, tre magliette, tre paia di mutande, lo spazzolino e sono partita.
Dire che sul bus ho dormito sarebbe una bugia: l’adrenalina e le emozioni che avevo vissuto poche ore prima hanno iniziato a sedimentarsi sulle mie gambe, rendendole due macigni. Ho ascoltato la musica, cercando di rilassarmi. Poi alla frontiera ci hanno fatto aspettare tre ore e mezza, e faceva freddo: si sentiva il sapore di un mare del nord in lontananza, intontita, la testa tra le nuvole e le mani gelate.
Infine ci hanno caricati, con tutto il pullman, sul famoso “treno che passa sotto lo stretto della Manica” (cioè sotto al mare, il mare, il mare, sotto) e hanno spento motori, aria condizionata e luci. E’ stato in quel momento che il mio corpo, esausto, mi ha evitato un attacco di claustrofobia spegnendosi senza troppi complimenti.
Quando mi sono svegliata ero arrivata a Londra. Dopo aver atteso che la metro aprisse ( ah già c’è un’ora di fuso tra il continente ed il Regno Unito!) ed aver cercato l’autobus per un’ora e mezza, sono arrivata a casa della mia amica che dovevo avere le occhiaie sin sotto al naso, felice.
Erano le sette del mattino.
Sono stramazzata sul suo letto e mi sono risvegliata quattro ore dopo, come se fosse stato tutto un sogno, o come se mi fosse passata sopra una di quelle antiche macine per pestare la farina.
Ho guardato Londra che si svegliava un sabato mattina, lentamente, mi sono stiracchiata e mi sono sentita viva. Verso una nuova avventura. L’ultimo anno di università (per fortuna), l’ultimo anno a Parigi (probabilmente), e mi risveglio dopo due notti insonni a Londra, accanto ad una delle donne della mia vita.
Ogni tanto, mollare tutto e partire, è la soluzione per non affogare nella quotidianità. Senza scappare eh, solo per ricaricare le batterie. Se riesci a preparare il discorso di laurea in una notte, hai tutto il diritto di prendere un pullman e andare a Londra. E poi hai 25 anni solo una volta nella vita.
Che cos’è per me viaggiare? sono le emozioni, sono le sensazioni, è sentirsi vivi.