“Hai vissuto a Parigi, beata te!”
Essere beati non c’entra. E’ tutta una questione di scelte.
Ho 27 anni. Molti mi dicono che sono troppo giovane, che io della vita non so ancora niente, che mi faccio illusioni, che quando avrò la “loro” età poi vedrò, che poi capirò. Me lo ripetono da quando sono nata. Sono sempre stata una brava bambina, una brava ragazza, una brava studentessa, una brava figlia, una brava nipote. Ho sempre fatto tutto quello che mi hanno detto di fare. Quando ho iniziato l’università mi dicevano di pensare a studiare e non a lavorare perché non ce l’avrei fatta. Che dovevo studiare perché cosi mi sarei trovata “un buon posto”. Che lavorare era difficile, doloroso, faticoso, deprimente.
Poi a 22 anni me ne sono andata di casa e mi hanno detto che non ce l’avrei fatta a studiare, lavorare e tenere una casa. Mi hanno detto che era una follia, che era IMPOSSIBILE.
E invece ce l’ho fatta e mi sono laureata alla triennale col massimo dei voti. Poi a 23 anni ho deciso di continuare gli studi a Parigi. E mi hanno detto che non ce l’avrei mai fatta a studiare, lavorare e tenere una casa in un paese straniero. Che non avrei mai trovato un lavoro. Che era una follia. Che ero matta. Che stavo esagerando. Che era IMPOSSIBILE.
E invece ce l’ho fatta, ed è stata una delle più belle esperienze della mia vita. Era il mio sogno studiare a Parigi e l’ho realizzato. E’ stata durissima a volte. Avevo pochi soldi. Studiavo di notte, perché la mattina avevo le lezioni e il pomeriggio lavoravo. I weekend spesso non esistevano, venivano risucchiati dai libri. E ogni volta che sollevavo il telefono per chiamare qualcuno mi ripetevano “non era meglio restare qui?”.
Mi faceva rabbia. Volevo dimostrare a tutti che, cazzo, i sogni si realizzano se ci lavori. Glielo volevo sbattere in faccia, glielo volevo urlare “guarda, ce la puoi fare anche tu!”.
Vivevo nella città dei miei sogni e avevo un lavoro che mi piaceva, a tempo indeterminato, questo fantomatico tempo indeterminato. Tuttavia, nonostante mi trovassi benissimo, non aveva niente a che fare con i miei studi, e l’ho lasciato dopo la laurea. Mi sono laureata nel 2015. “Sapevamo ce l’avresti fatta!” mi è stato detto. No, non è vero. Non lo sapevate.
Sono tornata in Italia per le vacanze quell’estate. Poi ci sono anche rimasta, non perché volessi restare, ma perché una delle persone più importanti della mia vita rischiava di morire.
Mi hanno detto di trovarmi un lavoro, di sistemarmi. Che avevo fatto bene a restare. Che avevo fatto bene ad andare e poi tornare. Cosi ho ristrutturato una casa, mi ci sono trasferita, mi sono trovata il primo lavoro che mi è capitato, che non aveva niente a che fare con i miei studi. E l’ho lasciato di nuovo. Mi hanno detto che ero pazza. Che ero un’irresponsabile. In realtà ero solo infelice. Avevo 26 anni ed ho pensato che fosse troppo presto per rinunciare ai propri sogni.
Il mio uomo ha fatto lo stesso e siamo stati sei mesi senza stipendio, vivendo con i nostri risparmi, che non erano molti. “Quando ve lo trovate un lavoro?” “quando vi sistemate?” “Quando vi sposate?” “ormai avete quasi 30 anni”.
Eh. E quindi?
Abbiamo continuato a studiare, abbiamo avviato un’impresa, abbiamo lavorato anche 15 ore al giorno senza percepire un soldo per mesi. Ma stavamo lavorando per noi stessi ed eravamo felici. Pieni di ansia. Pieni di dubbi. Ma con tanta voglia di farcela.
Era il sogno del mio ragazzo e come lui mi ha aiutata a realizzare i miei, io ho lavorato per aiutarlo a realizzare i suoi. Ora che le cose procedono bene, ma nessuno intorno a me pensa che io stia lavorando. Che il blog e il nostro progetto di impresa siano un lavoro. “Ma quindi quanto guadagnate?” “ancora con questa cosa della startup?” “quando pensate a sistemarvi?”. Tutto questo rende solo le cose più difficili. Fa aumentare l’ansia. Fa aumentare la paura. Anzi, terrorizza.
“Alla tua età dovresti trovarti un lavoro serio”. Cosa vuol dire serio? Fare una cosa che mi fa schifo? Che mi rende infelice?
Pensiamo di ripartire presto per uno o due anni di nomadismo. Ce l’ho dentro la voglia di viaggiare. Dovrei fare finta di essere quella che non sono? Dovrei fermare i miei sogni per dare agli altri il confort di pensare che sono “normali” perché anche io faccio quello che si aspettano da me? Dovrei rinunciare a me stessa, a quello che sono veramente per realizzare i sogni di qualcun altro?
Mi è stato detto “sei vecchia per queste cose” “mi sembra molto immaturo questo ragionamento”. Vecchia? Non ho ancora 28 anni. Immaturo? A me sembra immaturo prendersi il primo lavoro che trovi solo per appagare le aspettative degli altri.
C’è un solo fatto che conta al momento per me: quando lavoravo sentivo di stare sprecando tempo che avrei potuto investire in altro modo. Sentivo di non essere appagata e di non essere felice. Ora sono appagata, felice e non ho l’ansia. Sono tranquilla, positiva, rilassata. Come non lo sono stata MAI nella mia vita. Sento di essere esattamente dove dovrei essere per la prima volta, sento